San Martino in Rio, 17 maggio 2008 Gentilissimo Senatore Marino, mi sono permesso di aggiungere la marcatura (a) (b) (c) (d) ai punti della sua lettera del 26 aprile scorso. Commenterò quei punti, mentre lascerò all’attenzione dei lettori la parte più personale, nella quale parla dell’intervento di separazione delle gemelline siamesi, da lei rifiutato. Perché volutamente isolo quel paragrafo? Perché nella nostra discussione non è in gioco la persona del chirurgo e senatore Ignazio Marino, ma solo il disegno di legge n.687 che ha il nome del senatore Marino come primo firmatario (dopo il suo, leggo i nomi di Caforio, Emprin Gilardini, Finocchiaro, Giambrone, Iovene e Ranieri). Certamente lei, come primo firmatario, ha dato la sua impronta determinante al disegno di legge (il suo nome di primo firmatario è l’unico fuori dall’ordine alfabetico), ma il disegno di legge viene comunicato alla Presidenza “d’iniziativa dei senatori Marino, Caforio, ecc.” ed è quindi un’opera collettiva. Ripeto, quindi, il punto essenziale: dobbiamo distinguere tra la sua persona, dottor Ignazio Marino, chirurgo e senatore, e il testo del disegno di legge 687 (ddl 687) che porta la sua impronta. Per questo motivo le sue vicende personali non possono, né devono, influenzare il giudizio di noi cittadini sul ddl 687. Esamino allora i 4 punti, mettendoli a confronto col testo del ddl 687. Sintetizzo i punti a) b) c) con una breve frase, virgolettata per maggior chiarezza (1); il punto d) invece lo trascriverò per esteso. a) Ignazio Marino: “Nel 2006 ho inserito l’obbligatorietà nel ddl 687. Oggi invece mi trovo d’accordo sull’eliminazione dell’obbligatorietà”. In realtà il ddl 687 non contiene un’obbligatorietà assoluta. All’articolo 10 dice che “i cittadini sono tenuti a rendere la dichiarazione anticipata di trattamento”, ma sono tenuti “entro i termini, nelle forme e nei modi stabiliti dalla presente legge e dal decreto del Ministro della salute di cui all’articolo 11”. L’articolo 11 a sua volta - prevede l’obbligo delle A.S.L. di chiedere ai propri assistiti la “dichiarazione anticipata di trattamento”; - prevede una pesante insistenza delle istituzioni sui soggetti che non hanno reso la dichiarazione anticipata di trattamento; - ma non prevede sanzioni per chi non rende la dichiarazione, per cui non si può parlare di obbligatorietà assoluta (2). E’ certo però che molti anziani, “sollecitati periodicamente” dalle istituzioni, finirebbero inevitabilmente per cedere, anche se non ci fossero sanzioni a loro carico. Concordo quindi che il ddl 687 deve specificare il “non obbligo”. Pertanto, in prima battuta: - nell’articolo 10, comma 1, la frase “… i cittadini sono tenuti a rendere la dichiarazione anticipata di trattamento” diventa “… i cittadini possono rendere la dichiarazione anticipata di trattamento”; - nell’articolo 11 sparisce il comma 1, lettera b, sulla “sollecitazione periodica”; - nell’articolo 11, comma 1, lettera a, la frase “… le aziende sanitarie locali … sono tenute a richiedere” diventa “… le aziende sanitarie locali … possono richiedere”. b) Ignazio Marino: “Le dichiarazioni anticipate di trattamento devono contenere solo richieste lecite e legali. E io affermo che rifiutare di sottoporsi a un determinato trattamento medico è perfettamente lecito e legale”. Non posso che essere d’accordo con lei, visto che l’affermazione viene dall’articolo 32 della Costituzione. Ma il problema che ponevo nella lettera del 4 aprile è diverso: il disegno di legge deve affermare esplicitamente che alimentazione e idratazione NON sono trattamenti medici. Ogni uomo ha il diritto naturale di essere alimentato e idratato, quando non è in grado di provvedere da solo. In quali modi? Nei modi resi necessari dalla situazione del malato e secondo le tecniche disponibili al momento. E’ pertanto necessario che il ddl 687 all’articolo 1, comma 1, lettera b, rechi scritta esplicitamente la postilla “L’alimentazione e l’idratazione non sono trattamenti sanitari, ma diritti naturali di ogni paziente”. c) Ignazio Marino: “Sono d’accordo con lei che il fiduciario deve rispettare le sole dichiarazioni scritte del paziente”. Ma, se è d’accordo con me, allora l’articolo 4 del ddl 687 non va bene. Rileggiamolo: “Art. 4. (Migliore interesse) 1. Colui che presta o rifiuta il consenso ai trattamenti di cui all’articolo 1, per conto di altri che versi in stato di incapacità, è tenuto ad agire nell’esclusivo e migliore interesse dell’incapace, tenendo conto della volontà espressa da quest’ultimo in precedenza, nonché dei valori e delle convinzioni notoriamente proprie della persona in stato di incapacità”. Non c’è specificato che la volontà deve essere messa per iscritto, e la frase sui valori e le convinzioni “notoriamente proprie della persona” lascia la porta aperta a tutto. Se “colui che presta o rifiuta il consenso” fosse il solo fiduciario saremmo almeno in presenza di qualcosa di scritto (3). Ma in mancanza di dichiarazioni scritte, “colui che presta o rifiuta il consenso” potrebbe anche essere un familiare, diciamo così, poco affettuoso: un disegno di legge non può affidare ai malvagi un’arma giuridica come “i valori e le convinzioni notoriamente proprie della persona in stato di incapacità”. No, la parte finale va tolta. E, tolta la parte finale, si vede che la parte iniziale è una cosa giuridicamente inutile, perché è solo un invito alla “buona volontà”. L’intero articolo 4 può sparire senza rimpianti. d.1) Ignazio Marino: “Lei sostiene inoltre che il medico non debba essere vincolato per legge ad osservare le indicazioni del paziente. Mi dispiace ma su questo non posso trovarmi d’accordo: qualora il medico potesse porre un veto sulla volontà dell’assistito, il testamento biologico perderebbe la sua funzione di garanzia del diritto all’autodeterminazione.” Certamente, qui non ci troviamo d’accordo. E non ci troviamo d’accordo su un fatto fondamentale: affermo infatti che non esiste alcun “diritto all’autodeterminazione”. L’uomo ha dei diritti naturali, e questi diritti corrispondono a una serie di doveri che gli altri uomini hanno verso di lui. L’autodeterminazione è un non – senso giuridico: io non ho il diritto all’autodeterminazione, io ho il diritto di essere curato al meglio, tanto più se il medico che deve curarmi è in un ospedale statale e viene quindi pagato coi soldi di tutti. L’inesistente “diritto all’autodeterminazione” lede infatti il diritto naturale del medico di esercitare la sua arte “in scienza e coscienza” per il bene del paziente. Detto in altre parole: se il testamento biologico fosse vincolante, quale tipo di medico si troverebbe più a suo agio? Il medico buono o il medico cattivo (4)? Si troverebbe bene il medico cattivo: poco aggiornato, menefreghista verso il paziente, troverebbe estremamente comodo attenersi scrupolosamente alle direttive anche erronee del paziente. Tutto più tranquillo, meno grane coi parenti, meno pensieri. Il medico buono che cerca il bene del paziente, che è aggiornato sulle tecniche più innovative, che è disposto anche a correre dei rischi perché ritiene in scienza e coscienza che in quel tal caso il rischio si può correre, questo medico si troverebbe ingabbiato dal testamento biologico vincolante. L’uomo ha una paura naturale quando immagina il percorso di lunga malattia, e io mi aspetto che lo Stato lo incoraggi: “Non avere paura! Se ti troverai in quella situazione, avrai con te i medici migliori, che faranno il meglio per il tuo bene. Io, Stato, lavorerò con questi obiettivi”. Invece, con un’eventuale legge sul testamento biologico vincolante, lo Stato va a proporre al cittadino “il diritto all’autodeterminazione”. Propone cioè al futuro paziente di codificare, mentre è ancora sano, le sue paure o i suoi terrori per il futuro, legando così le mani ai medici più bravi. d.2) Ignazio Marino: “Il medico è vincolato in molti altri casi dalla volontà del paziente, che ha tutto il diritto di chiedere un trattamento piuttosto che un altro, o di rifiutare terapie particolarmente invasive come per esempio la tracheostomia.” Il medico è vincolato in molti casi, ma purché abbia di fronte il paziente in grado di intendere e di volere. Il medico può proporre, ad esempio, una chemioterapia, può illustrare le sue ragioni, può insistere. Di fronte può avere la volontà contraria del paziente, che la rifiuta, che resiste, che oppone altre ragioni. Alla fine può anche darsi che il medico si arrenda, e accetti la volontà del paziente, secondo l’articolo 32 della Costituzione. Ma il testamento biologico non è equivalente alle richieste di un paziente in grado di intendere e di volere: è un pezzo di carta scritto da una persona sana, normalmente a distanza di alcuni anni; al pezzo di carta il medico non può spiegare nulla e al pezzo di carta non può chiedere nulla. Quindi, se ritiene in scienza e coscienza che il pezzo di carta parli in modo erroneo, il medico ha il diritto naturale di agire secondo le sue convinzioni mediche per il bene del paziente. Dovrà agire da solo? No, se il caso è complesso si consulterà con altri medici, si confronterà coi familiari, può anche confrontarsi con la figura del “fiduciario”. Ma alla fine, se i familiari o il fiduciario diranno cose irragionevoli o sbagliate dal punto di vista medico, la volontà del medico dovrà prevalere. Alla società e allo Stato va l’onere di mettere a disposizione della comunità medici buoni (eticamente formati) e buoni medici (sapientemente formati). d.3) Ignazio Marino: “Poniamo il caso di un paziente in coma, senza alcuna possibilità di recupero dell’integrità intellettiva, con la necessità di una gastrostomia (un intervento chirurgico che consente di proseguire la nutrizione artificiale): perché dovrebbe essere costretto a subirla se non servisse a migliorare le sue condizioni di salute?” “Poniamo il caso”. E’ proprio questo il modo peggiore per impostare una legge. Perché, quando la legge è fatta, non va a coprire solo il singolo caso che l’ha generata, ma ne copre innumerevoli altri che non erano previsti al momento della stesura. La frase “poniamo il caso” serve in senso opposto: è sufficiente infatti trovare un solo caso al quale il testamento biologico avrebbe portato danno per opporsi risolutamente a una legge sul testamento biologico. Le faccio un esempio. La mia amica A. nel gennaio 2007 ha avuto un’emorragia cerebrale pressoché emisferica; intervento neurochirurgico di svuotamento, teca cranica alla “banca dell’osso” in Germania, stato di coma persistente (più di un mese, anche se non ricordo più i tempi giusti), posizionamento di tracheocannula e di una PEG per l’alimentazione. Dopo l’uscita dal coma era in immobilità totale, era afasica e impossibilitata a comprendere. Ad aprile 2007 fa i primi movimenti. Adesso viene ad ascoltare conferenze, e, anche se le è rimasta qualche difficoltà di parola (ogni tanto “non le viene la parola”), è una persona in gran parte autonoma. Se avesse scritto nel testamento biologico che rifiutava il posizionamento di una PEG, che fine avrebbe fatto? Se avesse immaginato questo suo percorso di malattia, quando era ancora sana, l’avrebbe ritenuto un percorso accettabile? O avrebbe scritto nel testamento biologico che un percorso simile non l’avrebbe potuto reggere? Sono pertanto contrario a una legge sul testamento biologico, perché, in estrema sintesi: - se il testamento biologico è vincolante per il medico, finisce per dare più spazio ai medici peggiori, ingabbiando invece i migliori; genera quindi inevitabilmente una deriva eutanasica (5). - se il testamento biologico non ha carattere vincolante, diventa semplicemente un’esortazione al medico perché faccia il buon medico (visto che, come abbiamo detto, il testamento biologico non può chiedere cose illecite o illegali): uno scritto privato, che non ha bisogno di una legge che lo codifichi. Resta aperta solo la questione del “fiduciario”, perché spesso i medici devono prendere decisioni senza avere interlocutori nell’ambito della famiglia del paziente. Ragioniamo quindi sul fiduciario, se si vuole, ma per il resto concentriamoci sulla formazione di medici buoni e di buoni medici. Il testamento biologico porterebbe a una ulteriore burocratizzazione della sanità e diventerebbe una pericolosa fonte di contenzioso tra le persone: non è di questo che abbiamo bisogno. La saluto cordialmente. Giovanni Lazzaretti NOTE (1) Invito le persone interessate a tenere davanti il testo completo della lettera del dottor Marino del 26 aprile. (2) A meno che la sanzione non dovesse essere contenuta nel decreto del Ministro della salute, ma questo, in una materia così delicata, mi sembrerebbe un po’ aberrante. (3) Nel ddl 687 il fiduciario viene nominato all’interno delle dichiarazioni anticipate di trattamento; pertanto, quando c’è la figura del fiduciario, c’è anche il testo scritto del testamento biologico. (4) Tra il medico buono e il medico cattivo ci sono ovviamente tutte le sfumature intermedie; ma anche per il medico senza infamia e senza lode il testamento biologico vincolante aiuterebbe a far emergere la sua parte peggiore, non la sua parte buona. (5) Il Comitato Nazionale di Bioetica (18 dicembre 2003) raccomanda “che la legge obblighi il medico a prendere in considerazione le dichiarazioni anticipate, escludendone espressamente il carattere vincolante, ma imponendogli, sia che le attui sia che non le attui, di esplicitare formalmente e adeguatamente in cartella clinica le ragioni della sua decisione”. Credo però che la questione sia più semplice: il medico non dovrebbe sempre esplicitare le ragioni della sua decisione, indipendentemente dalla presenza di un testamento biologico?
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